giovedì 25 febbraio 2010

Instant karma #2

Mi piaceva. Era giovane, ribelle, incazzato col mondo. Per una frazione di secondo devo anche averlo amato, per il resto del tempo lo avrei preso a cazzotti. Ci conoscemmo ad una festa, ci presentò una persona della quale ho dimenticato la faccia per una grave scorrettezza ricevuta e mai perdonata, ma questa è un’altra storia. In ogni modo parlammo una notte intera, mi diede un bacio indimenticabile e rimanemmo attaccati come adesivi quattro mesi. Fino all’inizio dell’anno successivo. Fu una storia piena di contrasti. Matteo da giovane era un tipo difficile. Bello e problematico. Quello che all’inizio trovavo affascinante, un duro che nascondeva un’anima sensibile, dopo pochi mesi si rivelò un'incommensurabile testa di cazzo. Non ci lasciammo in modo pacifico. Lui era incorreggibile, però, anche io, in quanto a testa dura, mi difendevo bene! Litigammo fuori da una discoteca, un sabato sera molto tardi. Il buttafuori ci ammonì affinché ci spostassimo perché disturbavamo. Quella sera dissi cose che non pensavo. Cattiverie gratuite, solo per ferirlo.
Matteo era coriaceo, nulla lo scalfiva.
Sembrava impermeabile ad ogni agente esterno, soprattutto ai sentimenti.
E questa cosa mi faceva dare fuori di testa.
Non c'intendevamo. Quando mi resi conto che eravamo totalmente incompatibili decisi per entrambi e troncai di netto la nostra storia. La cosa sembrava essersi risolta così, invece una settimana dopo, parliamo della prima decade di gennaio del 91, incontrandolo in discoteca, mi rivolse uno sguardo di sufficienza, e andò dritto per la sua strada. Cercai di giustificarlo, in fondo lo avevo lasciato in malo modo, forse ci aveva sofferto! Quando l’amico, con sorriso sprezzante precisò che la versione rilasciata da lui era diversa: ero io quella innamorata, che era stata mollata!
Il sangue fluì agli occhi in un nanosecondo, lo raggiunsi al bancone del bar, aveva ordinato un cocktail per darsi un tono, lo insultai ricordandogli che in certi locali, prima di conoscere me, probabilmente non lo avrebbero nemmeno fatto entrare, era inutile che si atteggiasse a divo del cinema, che aveva lo spessore di una carta da gioco e che stramaledicevo il giorno in cui c’eravamo incontrati. Che a raccontarla potrebbe anche sembrare una scena da film, ma ripensandoci, avevo 19 anni e stavo gridando ad un ragazzino di 17! Non era certo Casablanca!
Non gli rivolsi più la parola per quasi un anno.
A dicembre, nella stessa discoteca in cui ci eravamo detti addio, lo vidi passare con un’amica comune. Stavano andando a casa e la ragazza non sembrava tranquilla. Matteo, ormai maggiorenne, aveva bevuto ma era troppo spavaldo e sicuro di sé per ammettere che avrebbe dovuto ingollare almeno un thermos di arabica prima di mettersi alla guida. Quando superò il divanetto dove ero seduta, l’unico pensiero che salì dal cuore fu "che dio ti strangoli".
Uscimmo dal locale quasi contemporaneamente, lui partì dal parcheggio sgommando e sparì nel buio dicembrino. Lo trovammo dietro alla curva del faro, accartocciato contro al muro. Illeso ma terrorizzato. Il primo istinto fu di guardare al cielo. Mi domandai se la cosa funzionasse in quel modo" io chiedo, tu esaudisci!" Il secondo pensiero, scendendo dall’auto di corsa, fu di vedere come stava e una volta accertata che non si era fatto niente risalii e andai a casa.
Quella notte non riuscii a dormire.
Non sapevo se provavo ancora qualcosa per Matteo. Tra noi era finita male perché secondo lui pretendevo troppo da un ragazzino e non sapevo vivere il momento, avevo 19 anni e volevo una storia da grandi; gli piacevo, ma in quanto a storie serie, non ci pensava neanche lontanamente.
Lasciai passare un paio di giorni poi telefonai per chiedere come stava.
Mi dissero che era stato ricoverato per un accertamento. Mi catapultai all’ospedale. Provai tenerezza, nel vederlo indifeso, in un letto troppo grande. Lo insultai bonariamente, si mise a ridere e con quel sorriso cancellammo mesi di incomprensioni. Poi arrivò lei: Barbara. L’avevo vista anche sul luogo dell’incidente. Era accorsa ad abbracciarlo, con apprensione gli aveva domandato cento volte come stava e se sentiva male da qualche parte. Ricordo che quella sera piangeva. Quando entrò nella stanza mi guardò incuriosita. Se le dava fastidio la mia presenza non lo fece vedere, anzi, sorrise poi si avvicinò al letto, si chinò su Matteo e gli diede un bacio sulle labbra. Capii che c’era qualcosa tra di loro e sorridendo mi defilai. In seguito ci incontrammo nei locali, durante le feste natalizie e lei fu sempre molto gentile e sorridente. Poi il buio. Archiviato l’anno trascorso sparì anche la sua gentilezza per lasciare spazio all’odio più profondo. Eppure sono matematicamente certa di non aver detto/fatto/pensato/scritto nulla che potesse farla inalberare al punto da desiderarmi morta.
Quel pomeriggio all’aeroporto bastò un’occhiata per capire che il motivo di tanta discordia era Matteo. Lui sorrise come al solito. Come David Beckham dalla copertina di Vogue. Io abbozzai, Barbara arrossì violentemente, non lo degnò di uno sguardo e mi liquidò senza la possibilità di proporre un caffè, per scambiare due parole.
Non la rividi mai più.
Sono passati almeno12 anni.
Camilla si è sposata, separata e convive col padre di suo figlio Gionata, che ha 5 anni. Matteo convive con un’indossatrice, bella come il sole, più giovane di 10 anni e con il quoziente intellettivo di una pianta grassa.
Barbara è ricoverata all’ottavo piano dell’ospedale S. Giovanni. Stanza n. 6, letto n 18.
Non sono un’anima pia che viene a trovarla nonostante i vecchi rancori.
Siamo compagne di stanza. Io sto al letto 19.

CONTINUA....

3 commenti:

  1. ..e io sto sbavando per la terza puntata...non farmi aspettare tanto eh!

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  2. queen, questa storia è veramente avvincente!!!
    aspetto trepidante il seguito. brava!

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  3. > Chica > eccoti accontentata :)

    > Biondatinta > Grazie :*

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